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P. Stanislao Renzi Provincia religiosa DOL (basso Lazio e Campania)


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P. STANISLAO RENZI, Superiore Provinciale 

Provincia religiosa DOL (basso Lazio e Campania)

   ELENCO DOCUMENTI DOL            LETTERA CIRCOLARE - Prot. PSR/2002/07
copertina

Napoli, 21.03.2002

Carissimi Confratelli,
nell’imminenza della Pasqua desidero comunicarvi degli stimoli per una riflessione che ci apra a viverla, non come una data annuale, ma come evento di grazia per quella costante risurrezione, che è stata attivata in noi dallo Spirito del Cristo Risorto, il quale ci aiuta a leggere il nostro tempo ed a cercare nuove risposte alle sfide poste alla vita consacrata dall’odierno contesto socio-culturale.
Il tempo quaresimale, che volge al termine, è il momento favorevole per la conversione come incontro con il Dio vivente, per conoscerne i pensieri e le vie, ed essere così illuminati sul percorso da Lui tracciato per il nostro cammino quotidiano.
Non si tratta tanto di una riflessione puramente teorica, quanto di una sollecitazione che ci viene dalla situazione reale in cui si trova la nostra Provincia oggi, che non è differente da quella di altri istituti religiosi in questo tempo in cui la vita consacrata, come da molte parti si va dicendo, sta attraversando una crisi che, nel trapasso epocale della nostra storia, sa di transizione profonda. I religiosi sono provocati a fare l'autocritica, anche se v'è oggi una forte resistenza a farla. Si preferisce ignorare la crisi. Se ne cercano spiegazioni e colpevolezze: nella società secolarizzata, nella cultura moderna impermeabile ai valori evangelici, nei superiori incompetenti o nei sudditi insubordinati. Non se ne vuole vedere la profondità, affermando che si tratta di una situazione congiunturale. Dobbiamo fare un’autocritica per prendere coscienza dei mali che ci angustiano e dei rimedi possibili in questo momento critico. La crisi presenta un doppio aspetto: 1° un momento difficile e incerto; 2° un tempo di svolta e di cambiamento. La vita consacrata (vita e azione) si situa nei tempi e nei luoghi della storia con tutti i processi, tendenze, fenomeni… che in negativo o in positivo condizionano la vita d’ogni uomo. Si può uscire dalla crisi, ma solo a condizione di accettare la necessità di cambiare in radice, di rinnovarsi. Il rinnovamento, secondo il n. 13 di Vita Consecrata è un periodo di speranza, di tentativi e proposte, ma anche di tensioni e di travagli. La difficoltà a realizzarlo non deve indurre scoraggiamento, ma nuovo slancio per riprendere il cammino. È un cammino di conversione: "Un evangelizzatore è, prima di tutto, una persona che si lascia interpellare dal Vangelo. Senza la nostra conversione spirituale tutte le riforme, anche, le più necessarie e ben intenzionate, vanno a cadere; senza il nostro rinnovamento personale cadono in un attivismo vuoto. Senza l'ascolto della Parola, senza la volontà di Dio, senza una continua conversione e purificazione della nostra vita, non ci sarà rinnovamento nella Chiesa" (Kasper) ed, io aggiungo, non ci sarà rinnovamento nelle Comunità, nella Provincia.
Per fare dei passi concreti non è necessario appoggiarsi su progetto di proposte e su programmazione. Programmare è saggezza, ma con tutte le programmazioni degli ultimi decenni non s’è registrato, a mio avviso, quel vero salto di qualità che consiste nell’acquisizione di una più precisa identità di religiosi. Ci vuole impegno serio di rinnovamento costante; altrimenti c’è il disinteresse per il cammino progettato. La stessa sorte potrebbe toccare alle conclusioni del prossimo capitolo provinciale, che va tuttavia preparato maturando atteggiamenti di disponibilità per un deciso rinnovamento. Tale scopo dovrebbe essere un forte stimolo a fare un’autocritica, diretta non tanto ad una diagnosi della situazione attuale quanto a cogliere le potenzialità latenti per imprimere un rinnovato dinamismo alla nostra vita.
L’autocritica va fatta anzitutto da ciascuno di noi, senz’altro personalmente, ma anche nel dialogo comunitario. In un tempo di scarsità delle vocazioni e di richieste di fare esperienze fuori della comunità, anziché logorarci in lamentele, dovremmo piuttosto sentirci tutti interpellati sulla nostra vocazione: la stiamo vivendo in modo da curare la qualità della vita nelle comunità, perché continuino ad avere incidenza evangelica? Noi, che siamo tanto immersi nelle attività apostoliche, a volte con un frenetico attivismo, siamo convinti che la prima forma della missione affidataci è la vita consacrata vissuta nella fedeltà agli impegni assunti da ciascuno nel momento solenne della professione religiosa che c’inseriva in una comunità segnata da un carisma specifico? Il monito del Papa è categorico: "La vita spirituale deve essere dunque al primo posto nel programma delle Famiglie di vita consacrata, in modo che ogni Istituto ed ogni comunità si presentino come scuole di vera spiritualità evangelica" (Vita Consecrata, 93). È urgente, nella nostra provincia, impegnarci tutti a fare una riflessione seria e operare scelte comunitarie precise e motivate per recuperare la spiritualità e rendere presente nel mondo e nella Chiesa la sequela di Cristo in fraternità e comunità, con la doppia fedeltà alla contemplazione e all’azione.
Nella
relazione introduttiva al Sinodo sulla vita consacrata, il Card. Hume così s’esprimeva: "la prima grande sfida rivolta alla vita consacrata riguarda la spiritualità, proprio perché è il cuore della vita consacrata, indica il suo contributo prioritario alla Chiesa, ed è la sorgente del dinamismo apostolico. Con essa s’indica il rapporto personale con Cristo attraverso la sequela, il primato dato a Dio attraverso la consacrazione, la disponibilità all'azione dello Spirito. Essa si esprime nella contemplazione, nella preghiera, nell'ascolto della Parola di Dio, nell'integrazione delle diverse dimensioni della vita personale e comunitaria, nell'osservanza fedele e gioiosa dei voti. Non c'è rinnovamento senza un risveglio di spiritualità autentica… Occorre che i consacrati siano testimoni di spiritualità, capaci di parlare delle cose di Dio basandosi sull'esperienza propria e diventino guide di cammino interiore, che le case religiose non siano solo punti strategici d’irradiazione missionaria, ma anche scuole pratiche di spiritualità...".
Dice
, molto giustamente Enzo Bianchi, che "solo una conversione in atto da parte della vita religiosa può presentarsi agli altri chiedendo un mutamento, un ritorno: religiosi mondani possono soltanto incoraggiare gli uomini a restare quel che sono impedendo loro di scorgere una salvezza efficace e depotenziando le forze di quel vangelo che si vuole portare nel mondo.... I religiosi devono essere testimoni di un Dio al quale sappiano parlare e non di un Dio del quale soltanto parlino, un Dio che essi conoscano e frequentino assiduamente, senza dimostrazioni, come se vedessero l'invisibile... Chi canta con arte e convinzione per questa generazione le parole del salmo: ‘il tuo amore, Signore, vale più della vita ?’ se non i religiosi?". "Il mondo non vede Dio, ma può vedere un’immagine di Dio. Quando la nostra vita sarà saporosa per il mondo, sarà più facile parlare della fede" (Rupnik, Dall’esperienza alla sapienza – profezia della vita religiosa, Lipa, Roma 1998, p. 58).
Dobbiamo ammettere che molto spesso le nostre vite non esprimono il volto di Cristo, che l'individualismo, il soggettivismo, un certo infiacchimento spirituale, prodotto da un avviato ‘imborghesimento’ della vita, che porta a renderla sempre più comoda e confortevole, privandola di austerità e sobrietà, si sono annidati nelle pieghe del nostro essere e facciamo fatica a scrollarci di dosso certe abitudini, un determinato stile di vita assunto senza vere motivazioni per cui anche il volto splendente di Cristo, che dovremmo manifestare, spesso è sbiadito e offuscato.
Il nostro carisma ci richiama la croce del Cristo, e 1a parola della croce, dà vera efficacia alla nostra fede, essa sola è capace di rendere profetica la nostra fede. "Dobbiamo cambiare modo di pensare e di agire, fissando lo sguardo sul volto di Cristo crocifisso e facendo del suo Vangelo la quotidiana regola di vita", chiedeva il Papa con forza ai credenti nel messaggio per la quaresima del 2001. La sosta contemplativa davanti al Crocifisso riporta sempre alle motivazioni della consacrazione totale a Dio e impedisce quell'ottundimento della coscienza, in cui non si afferrano più le esigenze dell'amore di Dio nella sequela del Cristo crocifisso e neppure si è capaci di esprimere la radicalità evangelica nella vita ordinaria. Se viene meno la contemplazione del Crocifisso, non ci si sente più raggiunti dal suo amore e così non si è più in grado di esserne e di farne memoria. Si resta passionisti solo ‘nominalmente’.
Una tale considerazione dovrebbe inquietarci. Forse neanche ne siamo capaci, a motivo di quell’indifferenza che ci accomuna con tanti cristiani divenuti ormai refrattari al Vangelo. Non possiamo disattendere la sfida posta a noi dal neopaganesimo: la nostra deve tornare ad essere ‘una vita secondo il vangelo’. Non solo nell’intenzione, ma nella pratica. Essere vita, prima di valutarsi per l’efficacia delle sue realizzazioni. Ed esserlo evangelicamente: ossia, una maniera d’essere e di vivere tutto l’umano che presenta lo stile inconfondibile dello stile di Gesù. Sembra questo il primo aspetto del complesso processo di ricerca, esperimenti e trasformazioni, voluto dal Concilio che provocava la vita religiosa al ‘ritorno alle fonti’.
Il ‘ritorno alle fonti’ non poteva trasformarsi in un’esaltazione mitica del passato, ma a poco a poco s’andò rivelando come appello irresistibile a ricreare la vita religiosa per affrontare il futuro. Quest’appello era un’esigenza sempre più chiara di "ritorno al vangelo" che prendeva la vita religiosa nella sua totalità, in tutti gli aspetti e dimensioni. S’avviarono perciò ricerche nelle quali v’era l’esigenza sempre più chiara d’autenticità evangelica. Oggi siamo consapevoli che il futuro della vita religiosa si trova nel ritorno al vangelo.
Non
è difficile dire in che cosa consiste questo richiamo al vangelo. Consiste già in uno studio quotidiano della Parola, sia da soli che insieme. Sta qui la questione cruciale della vita religiosa. Troverà la sua identità solo tornando a quel che è tanto semplice ed essenziale come il vangelo. Così fu nelle sue origini. L’attrazione per un vangelo sine glossa e la passione irresistibile per la persona di Gesù caratterizzano l’esperienza fondante dei fondatori. Da quest’esperienza s’intende il loro stile di vita e la loro ansia d’evangelizzazione.
Il nostro Santo Padre, che ebbe un chiarimento progressivo del proprio carisma nella sua vicenda personale, intese fondare una Congregazione, in cui tutti fossero grandi operai e trombe sonore per pubblicare al mondo l’amore infinito di Gesù Cristo, mostratoci specialmente nella santissima sua Passione e Morte (cf. Lettere, ed. 1998, p. 607). Desiderava che i suoi religiosi fossero "zelanti operai, veri poveri di spirito e staccati da tutto il creato", "uomini santi, acciò come trombe, animate dallo Spirito Santo, vadano predicando quanto ha fatto e patito Gesù per amore degli uomini" (Ivi, p. 771).
Nella
pratica dei consigli evangelici, abbracciati per amore e vissuti nel modo di Cristo, si compie il vero ritorno alle fonti, alla radicalità evangelica, scelta con solide convinzioni personali e come impegno ad immergersi nelle situazioni con la logica dell’incarnazione, per portare tra gli uomini e per gli uomini il frutto della sequela del Cristo. Il passionista è l’uomo che fa del mistero pasquale, nucleo del vangelo, il centro della propria vita (cf. Cost. 65).
Vogliamo
, intanto, interrogarci: sentiamo un vero tormento o smarrimento per la situazione in cui ci incontriamo oppure non ne proviamo alcun’afflizione? Viviamo forse tranquilli, esentati peraltro dai gravi problemi che angustiano tante famiglie? Siamo consapevoli che le persone, che ci avvicinano, debbono ravvisare in noi uomini veri, uomini vivi, uomini liberi grazie alla sequela del Cristo? La nostra testimonianza è tale da sollecitarli a convertirsi a Cristo, a cambiare mentalità, ad assumere la logica del Vangelo?
Carissimi
confratelli, ho voluto solo avviare una riflessione sulla nostra situazione, indicando però nella sfida della radicalità evangelica il modo di affrontarla. Intanto ognuno deve sentirsi provocato a riconoscere con umiltà la responsabilità propria, senza imputare ad altri delle colpe. Non saremmo nelle migliori disposizioni per fare il primo indispensabile passo per un futuro più rispondente alle esigenze della vocazione passionista.
In poche parole, al fondo è questione di fede, di adesione al Cristo, al cui amore nulla si deve anteporre: "se al centro non c’è il Cristo vivente, tutto il resto diventa una specie di commedia" (Rupnik, op. cit., p. 60). Solo se si entra nel cammino dell’amore e si è presi in una relazione d’amore si ha la certezza che, partecipando alla morte di Cristo, si conosce la potenza della sua risurrezione.
Con l’augurio che su ciascuno di voi il Signore Risorto effonda il suo Spirito di Vita, che fa nuovi i cuori e tutte le cose, vi saluto fraternamente

P. Stanislao Renzi, C.P.
Superiore Provinciale

 

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