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Padre Antonio Rungi
Superiore Provinciale
antonio.rungi@tin.it
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Beata Elisabetta della Trinità

Napoli. Primo Centenario della morte della 
Beata Elisabetta della Trinità.
Di padre Antonio Rungi


Comunicato stampa
Domenica
5  novembre 2006, ore 21
,30


Il 9 novembre 1906, nel monastero delle Carmelitane Scalze di Digione in Francia, all’età di 26 anni, moriva santamente Suor Elisabetta della Trinità. Per ricordare il primo centenario della sua morte, oggi 5 novembre 2006, nel monastero delle Carmelitane Scalze dei Ponti Rossi in Napoli, Sua Eccellenza, mons. Filippo Iannone, carmelitano, Vescovo Ausiliare di Napoli ha presieduto una solenne concelebrazione eucaristica, alla quale ha partecipato il Superiore provinciale dei Passionisti di Napoli, padre Antonio Rungi, e un folto gruppo di fedeli frequentatori assidui dello storico monastero carmelitano, punto di riferimento spirituale per i napoletani, anche per la presenza in essa delle sacre spoglie della Venerabile Madre Giuseppina Catanea, prossima alla beatificazione.
Nel corso dell’omelia, monsignor Iannone ha messo in risalto l’attuale del messaggio della Beata Elisabetta della Trinità, con particolare riferimento alla sua intima unione con Dio vissuta, sull’esempio di tanti altri santi dell’Ordine Carmelitano, nella vita consacrata al Signore, mediante la professione dei consigli evangelici. Nel commentare il brando del Vangelo di Marco, sui due precetti dell’amore verso Dio e verso il prossimo, monsignor Iannone ha fatto risaltare come questo aspetto essenziale del messaggio cristiano è stato colto in modo singolare e totalizzante nella vita della Beata Elisabetta, che fu coetanea di Santa Teresa del Bambino Gesù, di Lisieux. Una vita singolare e per molti aspetti eccezionali, tanto da essere elevata agli onori degli altari con il titolo di beata. 
Elisabetta Catez, questo il suo nome al secolo, nacque nel campo militare di Avor presso Bourges (Francia) il 18 luglio 1880, poi trasferita con la famiglia prima ad Auxonne e poi a Digione, dove nell’ottobre 1887 rimase orfana del padre. Fin da piccola frequentò il conservatorio di Digione, dove trovò nella musica una forma di donazione e di preghiera. In piena adolescenza, cominciò a sentirsi attratta da Cristo e – racconta lei stessa – “senza attendere mi legai a Lui con il voto di verginità”. Incontrò molte resistenze nella madre, rimasta vedova, ma il suo desiderio si potè realizzare solo nel 1901, a 21 anni. Senza mai distrarsi in cose montane si preparò alla vita monastica, insegnando il catechismo ai piccoli della parrocchia, soccorrendo i poveri più abbandonati, in comunione stretta con la Trinità e con la Madonna. Il 2 agosto 1901 entrò nel Carmelo di Digione e l’8 dicembre ne vestì l’abito. Dopo un fervoroso anno di noviziato, l’11 gennaio 1903 emise la professione religiosa, assumendo il nome di Elisabetta della Trinità. Ma la gioia di aver raggiunto la meta desiderata, fu subito contrassegnata dalla sofferenza. Il 1° luglio 1903, infatti, si manifestò nella giovane professa uno strano solo più tardi diagnosticato come morbo di Addison. Sofferenze indicibili di ogni genere e per tutto l’organismo. Suor Elisabetta della Trinità accettava tutto con il sorriso e l’abbandono alla volontà di Dio, manifestando la sua “gioia di configurarsi al Crocifisso per amore” e diventando veramente “lode di gloria della Trinità”. 
Il 21 novembre del 1904 si era offerta “come preda” alla Trinità con la celebre invocazione: “O mio Dio, Trinità che adoro”. L’avanzamento inesorabile del male si manifestò più evidente nell’estate 1906. In periodo scriveva alla sua madre: “il mio Sposo vuole che io gli sia una umanità aggiunta nella quale Egli possa soffrire ancora per la gloria del Padre e per aiutare la Chiesa…Egli ha scelto la tua figlia per associarla alla grande opera della Redenzione”. Il 1 novembre 1906 parve giunta l’ultima ora, tanto da manifestare alcuni suoi pensieri significativi: “Tutto passa! Alla sera della vita resta solo l’amore. Bisogna fare tutto per amore”. Resteranno solo pochi giorni per chiudere la sua esistenza. In un ritornare momentaneo di coscienza, fu udita sussurrare: “Vado alla luce, all’amore, alla vita”. Morì il mattino del 9 novembre 1906. Pur essendo vissuta nel monastero poco più di cinque anni e di cui tre in una condizione di ammalata grave e irreversibile, quindi con pochi contatti con l’esterno, essa dopo morta godé subito di una fama di santità, che fece pensare ben presto alla sua glorificazione. Fu papa Giovanni Paolo II, dopo circa 80 anni dalla sua morte, a beatificarla il 25 novembre 1984. Un altro faro di mistica si accese in quel giorno nel firmamento dei Santi e Beati dell’Ordine Carmelitano, già ricco di nomi prestigiosi e ben noti ai credenti di ogni parte del Mondo. 


Napoli,
5 novembre 2006

L’Addetto Stampa- Curia provinciale- Passionisti

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