Home Page passionisti.org

CONGREGAZIONE DELLA PASSIONE
Provincia Religiosa dell'Addolorata - DOL
(Basso Lazio, Campania e Vicariato in Brasile)
passionisti@passionisti.org

 BENVENUTO nella FAMIGLIA PASSIONISTA

San Paolo della Croce, il nostro FONDATORE

altre sezioni di www.passionisti.org

Linea di divisione

Bacheca di p. Antonio Rungi

SCOPO di queste riflessioni:
- offrire un contributo settimanale di attualità;
- sollecitare discussioni ed approfondimenti.

<<--- Vai al SOMMARIO



Padre Antonio Rungi
Superiore Provinciale
antonio.rungi@tin.it
 

 

 

 

 

Riflessione. Sacerdoti in carriera?
Chi è senza peccato scagli la prima pietra! .

di padre Antonio Rungi


Comunicato stampa
Lunedi'
8 maggio 2006, ore 19
,15


Ogni volta che il Papa, e non solo quello attuale, tocca il tasto della carriera ecclesiastica scattano, come una molla, le reazioni all’interno del clero, della stessa Chiesa e della società civile.
Reazioni che si manifestano come consenso a ciò che dice il Papa e reazioni come contestazione alle affermazioni. Si delinea, in queste circostanze, una sorta di divisione interna, basata su un concetto essenziale e che è tipico del modo di parlare, soprattutto dall’altare: sono “cose che riguardano gli altri e non me”.
In realtà ciò che dice il Papa o dice un prete dall’altare riguarda tutti, perché nessuno è esente, anche quelli apparentemente umili e distaccati dal potere e dalla carriera, dalla tentazione del carrierismo, che a volte, non si manifesta occupando un posto ed un ruolo nella chiesa, ma con una pseudo autorevolezza morale che non si ha. Perché tale autorità si riconosce solo ai santi, a coloro che, come giustamente mette in risalto il Papa, Benedetto XVI, nella sua omelia di ieri, nella Basilica Vaticana, tenuta durante la messa di consacrazione di 15 nuovi diaconi, mettono al centro della propria vita la Croce di Cristo.
C’è chi, infatti, la carriera la costruisce per tempo e nel tempo fondando ogni cosa sui propri amici e dimenticandosi di tutti gli altri. Chi la costruisce sull’iniqua amministrazione del potere e dei beni quando occupa un posto. Chi la costruisce mediante una posizione di comodo, evitando di assumere qualsiasi incarico, non per modestia ed umiltà, ma per non perdere consenso o per viltà. C’è chi poi è negato completamente a svolgere ruoli, in quanto non in grado di portare avanti con coraggio il suo ufficio, e si costruisce una carriera alternativa del non fare niente, all’interno della Chiesa, ma dedicandosi ad altre e più gratificanti attività al di fuori di essa o comunque in sintonia con essa. A volte compiti secondari assumono pesi più di compiti rilevanti. Un impiegato, con tutto il rispetto per le mansioni che svolge e copre, riesce ad avere più potere del capoufficio. E’ la storia dei nostri giorni in tutti gli ambienti civili e non. Una pratica va avanti più speditamente delle altre, mediante l’intercessione di amici e conoscenze in alto loco, e con strategie subdole dalle quali non sono esenti i favori di ogni genere.
Come dire, non è facile decifrare chi è il prete in carriera e chi non lo è. Molti lo sono al di là dei posti che occupano, gestendo persone e cose, magari con l’essere richiusi in quattro mura, nell’assoluta povertà dei mezzi, ma con il potere di comandare comunque e sempre.
Certo, per chi aspira a ruoli sempre più prestigiosi all’interno della Chiesa non è assolutamente in linea con il Vangelo fare questo o peggio di questo.
Ci sono scuole ed istituzioni ecclesiastiche che già di per sé portano ad agire e a pensare in questa ottica, come la carriere diplomatica. Chi frequenta questo o quell’ambiente ha una carriera assicurata nella Chiesa. Chi si appoggia a questo a quell’altro avrà un avvenire assicurato. Sono cose che si sanno e si comprendono pure, ma non si giustificano affatto. Da qui il giusto richiamo del Papa.
E’ necessario un capovolgimento di mentalità, che giustamente chiede di effettuare il Santo Padre, riflettendo sul tema del carrierismo nella Giornata Mondiale delle Vocazioni, che abbiamo celebrato ieri, 7 maggio 2006.
Ma mi preme sottolineare in questa riflessione all’indomani dell’effetto dirompente che hanno avuto negli ambienti ecclesiastici e civili le parole pronunciate da Benedetto XVI, alcuni significativi passaggi della sua splenda omelia, che deve far pensare tutti, a partire da coloro che si sentono esenti dalla tentazione della carriera. Forse sono quelli più pericolosi, perché agiscono di nascosto e se non in prima persona, attraverso i loro rappresentanti e uomini di facciata.
Gli schieramenti e le divisioni nelle istituzioni ecclesiastiche non derivano forse dal bisogno di occupare direttamente o indirettamente posti ed uffici che non vogliamo riconoscerli agli altri, perché ci riteniamo più capaci e migliori degli altri? Dai più semplici ai più complessi incarichi, quali sono le logiche delle scelte se non quelle di un esercizio diretto o delegato del potere? Il nostro modo di parlare è il seguente: questo l’ho indicato io, l’ho sponsorizzato io, l’ho nominato io, l’ho formato e costruito io, l’ho promosso e sostenuto io, l’ho fatto io. La mitizzazione del proprio io, dell’aver fatto questo o quello, il richiamo alle grandi opere realizzate, il far pesare sugli altri le difficoltà incontrate e gli ostacoli trovati, ciò che non è stato realizzato, sempre per responsabilità altrui. Tutto questo è un modo di concepire la vita, in generale e quella ecclesiastica in particolare, come esercizio di potere che non ha termine, anche se non si occupa più un posto ufficiale nella stanza dei bottoni. Stanza che si spera di occupare quanto prima personalmente o mediante nostri rappresentanti. Così è nella vita civile e così e nella chiesa, che è anche una comunità fatta di persone e di aspirazioni espresse o nascoste.
Con questo modo di pensare, guai il momento in cui chi è stato da noi delegato, soprattutto se amico, non risponde in pieno alle nostre attese e pretese. Si parla di ingratitudine, di irriconoscenza e tutto il resto e se lo si vede abbandonato a se stesso, rifiutato da tutti, meglio ancora.
Quante persone si sono scarificate e si sacrificano tuttora per il bene della Chiesa e vengono tacciate per uomini e donne in carriera? Quante persone investono energie di mente, cuore e fisiche per svolgere al meglio il proprio ufficio e vengono tacciate di carrierismo?
Bisogna sapere discernere il carrierismo di certi ambienti ecclesiastici dal servizio generoso e sofferto di altri ambienti, che non contano e non pesano. Tale discernimento è possibile farlo alla luce di quanto ci ha detto il Santo Padre, ieri, nella Giornata Mondiale delle Vocazioni. “il sacerdote viene totalmente inserito in Cristo affinché, partendo da Lui e agendo in vista di Lui, egli svolga in comunione con Lui il servizio dell'unico Pastore Gesù, nel quale Dio, da uomo, vuole essere il nostro Pastore”. Ed aggiunge: “Gesù, prima di designarsi come Pastore, dice con nostra sorpresa: "Io sono la porta" (Gv 10, 7). È attraverso di Lui che si deve entrare nel servizio di pastore. Gesù mette in risalto molto chiaramente questa condizione di fondo affermando: "Chi … sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante" (Gv 10, 1). La parola "sale" evoca l'immagine di qualcuno che si arrampica sul recinto per giungere, scavalcando, là dove legittimamente non potrebbe arrivare. "Salire" – si può qui vedere anche l'immagine del carrierismo, del tentativo di arrivare "in alto", di procurarsi una posizione mediante la Chiesa: servirsi, non servire. È l'immagine dell'uomo che, attraverso il sacerdozio, vuole farsi importante, diventare un personaggio; l'immagine di colui che ha di mira la propria esaltazione e non l'umile servizio di Gesù Cristo. Ma l'unica ascesa legittima verso il ministero del pastore è la croce. È questa la porta.
Lo stile di servizio che ha chiaro davanti a se la Croce di Cristo porta di conseguenza a “non desiderare di diventare personalmente qualcuno, ma invece esserci per l'altro, per Cristo, e così mediante Lui e con Lui esserci per gli uomini che Egli cerca, che Egli vuole condurre sulla via della vita. Si entra nel sacerdozio attraverso il Sacramento – e ciò significa appunto: attraverso la donazione totale di se stessi a Cristo, affinché Egli disponga di me; affinché io Lo serva e segua la sua chiamata, anche se questa dovesse essere in contrasto con i miei desideri di autorealizzazione e stima. Entrare per la porta, che è Cristo, vuol dire conoscerlo ed amarlo sempre di più, perché la nostra volontà si unisca alla sua e il nostro agire diventi una cosa sola col suo agire”.
Il Papa poi evidenzia che il pastore dà la sua vita per le pecore. Il mistero della Croce sta al centro del servizio di Gesù quale pastore: è il vero grande servizio che Egli rende a tutti noi. Egli dona se stesso. Per questo, a buona ragione, al centro della vita sacerdotale sta la sacra Eucaristia, nella quale il sacrificio di Gesù sulla croce rimane continuamente presente tra di noi. E a partire da ciò impariamo anche che cosa significa celebrare l'Eucaristia in modo adeguato: è un incontrare il Signore che per noi si spoglia della sua gloria divina, si lascia umiliare fino alla morte in croce e così si dona a tutti noi. È molto importante per il sacerdote l'Eucaristia quotidiana, nella quale si espone sempre di nuovo a questo mistero; sempre di nuovo pone se stesso nelle mani di Dio sperimentando al contempo la gioia di sapere che Egli è presente, mi accoglie, sempre di nuovo mi solleva e mi porta. L'Eucaristia deve diventare per noi una scuola di vita, nella quale impariamo a donare la nostra vita. La vita non la si dona solo nel momento della morte e non soltanto nel modo del martirio. Noi dobbiamo donarla giorno per giorno. Occorre imparare giorno per giorno che io non possiedo la mia vita per me stesso. Giorno per giorno devo imparare ad abbandonare me stesso; a tenermi a disposizione per quella cosa per la quale Egli, il Signore, sul momento ha bisogno di me, anche se altre cose mi sembrano più belle e più importanti. Donare la vita, non prenderla. È proprio così che facciamo l'esperienza della libertà. La libertà da noi stessi, la vastità dell'essere. Proprio così, nell'essere utile, la nostra vita diventa importante e bella. Solo chi dona la propria vita, la trova.
Come seconda cosa il Signore ci dice: "Io conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre " (Gv 10, 14-15). Sono due rapporti apparentemente del tutto diversi che qui si trovano intrecciati l'uno con l'altro: il rapporto tra Gesù e il Padre e il rapporto tra Gesù e gli uomini a Lui affidati. Ma entrambi i rapporti vanno proprio insieme, perché gli uomini, in fin dei conti, appartengono al Padre e sono alla ricerca di Lui. Quando si accorgono che uno parla soltanto nel proprio nome e attingendo solo da sé, allora intuiscono che egli non può essere ciò che stanno cercando. Laddove però risuona in una persona la voce del Padre, si apre la porta della relazione che l'uomo aspetta. Così deve essere quindi anche nel nostro caso. Innanzitutto e nel nostro intimo dobbiamo vivere il rapporto con Cristo e per il suo tramite con il Padre; solo allora possiamo veramente comprendere gli uomini, e allora essi si rendono conto di aver trovato il vero pastore. Ovviamente, nelle parole di Gesù è anche racchiuso tutto il compito pastorale pratico, di seguire gli uomini, di andare a trovarli, di essere aperti per le loro necessità e le loro domande. Ovviamente è fondamentale la conoscenza pratica, concreta delle persone a me affidate, e ovviamente è importante capire questo "conoscere" nel senso biblico: non c'è un vero conoscere senza amore, senza un rapporto interiore, senza una profonda accettazione dell'altro. Il pastore non può accontentarsi di sapere i nomi e le date.
Interessante il riferimento alla conoscenza del cuore. Il conoscere del pastore vero “deve essere sempre anche un conoscere con il cuore. Questo però è realizzabile in fondo soltanto se il Signore ha aperto il nostro cuore; se il nostro conoscere non lega le persone al nostro piccolo io privato, al nostro proprio piccolo cuore, ma invece fa sentire loro il cuore di Gesù, il cuore del Signore. Deve essere un conoscere col cuore di Gesù e orientato verso di Lui, un conoscere che non lega l'uomo a me, ma lo guida verso Gesù rendendolo così libero e aperto.
C’è questa tendenza nell’ambiente ecclesiastico a sentire le persone come propria proprietà o creature accolte, fatte crescere e promosse, soprattutto se si sono trovate in difficoltà. Quell’aiuto dato, in molti casi, pesa per tutta la vita ed ha uno scotto da pagare, che non è soltanto la riconoscenza ed il rispetto. Le persone appartengono a Dio e solo a Lui bisogna rendere principalmente conto.
Infine il Signore ci parla del servizio dell'unità affidato al pastore. La missione di Gesù riguarda l'umanità intera, e perciò alla Chiesa è data una responsabilità per tutta l'umanità, affinché essa riconosca Dio, quel Dio che, per noi tutti, in Gesù Cristo si è fatto uomo, ha sofferto, è morto ed è risorto. La Chiesa non deve mai accontentarsi della schiera di coloro che a un certo punto ha raggiunto. Non può ritirarsi comodamente nei limiti del proprio ambiente. È incaricata della sollecitudine universale, deve preoccuparsi di tutti. Questo grande compito dobbiamo "tradurre" nelle nostre rispettive missioni. Ovviamente un sacerdote, un pastore d'anime, deve innanzitutto preoccuparsi di coloro, che credono e vivono con la Chiesa, che cercano in essa la strada della vita e che da parte loro, come pietre vive, costruiscono la Chiesa e così edificano e sostengono insieme anche il sacerdote. Tuttavia, dobbiamo anche sempre di nuovo – come dice il Signore – uscire "per le strade e lungo le siepi" (Lc 14, 23) per portare l'invito di Dio al suo banchetto anche a quegli uomini che finora non ne hanno ancora sentito niente, o non ne sono stati toccati interiormente. Il servizio dell'unità ha tante forme. Ne fa parte sempre anche l'impegno per l'unità interiore della Chiesa, perché essa, oltre tutte le diversità e i limiti, sia un segno della presenza di Dio nel mondo che solo può creare una tale unità”.
Il rischio di servirsi della Chiesa e non servire la Chiesa è reale e non solo oggi, ma dal tempo di Gesù stesso, quando i discepoli si discutevano tra loro che fosse il più grande, oppure quando la madre dei due discepoli chiese a Gesù farli accomodare, nel suo Regno, uno alla desta ed uno alla sinistra. Come dire sistemali in un posto di prestigio quando sarai tu a tenere in mano le sorti della nazione. Peccati e mali di sempre che, in determinati momenti, si accentuano sostenuti da modelli culturali che esaltano il potere di qualsiasi genere. Quello ecclesiastico attira in modo particolare, soprattutto in certi ambienti, vicini o lontani, dalla Sede di Pietro.
Da qui la necessità, dati anche i tempi moderni, di snellire pratiche ed iter procedurali a livello canonico ed ecclesiastico, perché la carriera la si inizia a fare anche in quegli uffici che contano e pesano nella catena o filiera dell’organizzazione della Chiesa locale ed universale. I sacerdoti, in particolare, ritornino a fare i preti uscendo per le strade ad evangelizzare ed andare in cerca della pecorella smarrita. Il vero pastore si misura soprattutto per l’ansia missionaria che ha, al di là dei posti che occupa o che gli chiedono di occupare.
 

Napoli,
8 maggio 2006

L’Addetto Stampa- Curia provinciale- Passionisti

 

INIZIO PAGINA

Linea inferiore

Copyright ? No Grazie diffondete, stampate e utilizzate il contenuto di questo sito;   Risoluzione 800 x 600; Carattere piccolo;
Organizzaz. ACSMAM Associazione Culturale S. Maria Ai Monti -